17 maggio 2020

Il giorno prima di lunedì

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Abbiamo cantato e applaudito dai balconi.
Abbiamo riempito decine di autocertificazioni per uscire da casa. E quando lo facevamo ci sentivamo come i Blues Brothers, in missione per conto di Dio.
Abbiamo imparato a fare il pane.
E la pizza. E le lasagne. Le torte, i biscotti, quarantaquattro gatti infila per sei col resto di due.
Abbiamo guardato la quarta stagione de La casa di carta.
E altre ottantatré serie. Anche in lingua originale perché non sono state doppiate.
Abbiamo scoperto le videochiamate. E Whatsapp e Skype e Zoom e HouseParty e aspe’ che hai detto? Non mi prende bene! Aspetta che mi ricollego. Oh, oggi il Wi-Fi è lentissimo. Ti sei bloccato. Ah, ecco ora va bene.
Abbiamo sopportato di ritornare in classe alle medie quando speravamo di aver archiviato la faccenda dopo la maturità.
Abbiamo trasformato il salotto in palestra e il tappeto in pedana, sacrificato lampadari e lampade e siamo rimasti delusi quando ci hanno spostato Tokyo al 2021.
Siamo stati virologi, statisti, economisti, scienziati e intellettuali. Soprattutto critici puntuali di un tempo che abbiamo spiato dalle finestre.
Sono passati Pasqua, il 25 aprile, il primo maggio, i compleanni.
Sono passati i giorni in fila per fare la spesa e altri giorni sempre in fila per fare la spesa.
Poi abbiamo riscoperto il valore dei congiunti ma non dei congiuntivi, di quelli no, o si avevano prima della quarantena o questa resta una causa persa.
E infine il lievito, il bene desiderato da tutti e introvabile. Il golden ticket di Willy Wonka. Il boccino d’oro di Harry Potter.
Abbiamo avuto i lunedì, tanti lunedì, che erano come delle domeniche. O dei mercoledì. O dei venerdì. Ma mai dei sabato, perché il sabato era il giorno della pizza in casa. Facebook e Instagram grondanti di teglie ammalianti, croccanti, sugose, napoletane, romane, genovesi.
Ora il lievito è ovunque, montagne di lievito mai viste prima della quarantena.
E domani è di nuovo lunedì.
Lunedì, lunedì.

16 maggio 2020

Viaggio in libreria

Cronache dal mondo fuori.
La cosa più bella che io abbia fatto negli ultimi due mesi e mezzo, tornare in libreria. E ho fatto la fila. E non mi è pesata per niente. Soprattutto pensando che per me maggio è da tanti anni il mese del Salone, delle file appassionate, dei più bei momenti da respirare nel mondo che mi appartiene.
Ho rincontrato le mie amiche libraie. Ho rincontrato i miei libri. Ho rincontrato i “miei” autori preferiti. È stata un’emozione pari a quella di tornare a casa dopo tanto tempo.
Perché anche se in questi lunghi mesi di quarantena ho panificato, ho cucinato di più che negli ultimi cinque anni, ho mantenuto la casa decorosa, ho videochiamato, videoamato, videoabbracciato, ho ripassato con la didattica a distanza dall’inglese alla grammatica, dall’epistemologia alla psicologia sociale, ho goduto della presenza costante dei figli, ho riso e giocato e parlato e ascoltato come non ne avevo memoria, anche se ho valorizzato la vita con tutto ciò che avevo a disposizione, marito, figli, animali, affetti distanti, quello che io sono e voglio essere si trova tra le parole scritte. Nei libri. Nelle librerie. Tra i miei autori e i miei lettori.
Tornare a me stessa, il viaggio più bello, la liberazione più grande.

10 maggio 2020

Affetti stabili

Cronache dal mondo dentro.
Lo confesso, sono tra quelle il cui affetto stabile di cui sento maggiormente la mancanza è la propria parrucchiera.
Circa due settimane fa ho avuto la presunzione di farmi la tinta a casa da sola per cercare di arginare gli effetti rovinosi della quarantena sui miei capelli. Il risultato è stato devastante, per una beffa del sacro protettore delle tinte tutto il biondo si era trasformato in grigio. Grigio. Non biondo cenere, non perlato. Grigio. Grigio topo, grigio colore non pervenuto. E ho una famiglia fantastica che continuava a cercare di convincermi di quanto fosse alla moda, alternativo (compresa la ragazza di mio figlio). Ma è bello? Dài, non male. Ci hanno provato tutti a convincermi che sulla mia testa non fosse annidata la più tragica dimostrazione della mia imperizia. Così ho portato per tanti giorni i capelli legati e ho ringraziato tutti i santi del calendario di essere costretta a uscire con la faccia coperta.
Stamattina mi figlia Alessandra ha tirato fuori tutto l’armamentario del piccolo chimico e mi ha regalato una seduta da centro estetico che mi ha riportato a sembianze più decenti.
Il miglior regalo per la festa della mamma che io abbia ricevuto. Non la tinta e la messa in piega, ma la cura che mia figlia mi ha dedicato per farmi sentire di nuovo carina.

4 maggio 2020

Le cose straordinarie non sono poi così distanti

Mi sono alzata con la voglia matta di prendere la macchina e andare a fare la spesa in un supermercato fuori zona. Rientrava a pieno titolo tra ciò che da oggi è legittimo fare. Ma poi ha prevalso il senso di coscienza, in onestà non era una necessità. In questi due mesi se qualcosa ho imparato è stato proprio il senso del necessario.
Quindi mi sono adoperata come ogni giorno a occuparmi delle incombenze domestiche, affacciandomi ogni tanto a guardare dal balcone le persone, molte persone, che animavano nuovamente il mondo fuori. E c’era il sole, il cielo terso, l’aria non più greve di smog.
Soprattutto c’era qualcosa d’importante e necessario che non potevo assolutamente demandare: portare la mia mamma ultraottantenne a fare una breve passeggiata. Non si muoveva da due mesi, non vedeva la luce diretta del sole da marzo e non camminava da allora.
Tutto questo rientrava nelle necessità, visita a congiunto, attività motoria e assistenza a persona anziana.
Con Elenina, anche lei in grave carenza di vitamina D, l’abbiamo sorretta nei suoi passi lenti. Seicento metri tra andata e ritorno in cui con occhi sgranati mia mamma emozionata scopriva quel mondo che da mesi le stiamo solo raccontando. Le mascherine, le file, i negozi chiusi con i cartelli “Io resto a casa”. E poi i saluti commossi da lontano a occhi conosciuti che per lei sono sembrati amici rivisti dopo tanto tempo.
Sulla strada del ritorno, io ed Elena non abbiamo potuto fare a meno di passare in pasticceria e comprare una piccola torta. E ci è sembrato di aver fatto qualcosa di straordinario, di aver riconquistato un piccolo pezzetto di normalità.

19 aprile 2020

Diritto di passeggiata

Cronache dal mondo fuori.
Con questo dichiaro che non abbiamo violato alcun Dpcm, soltanto siamo andate a casa di nonna Sonia a prendere la pasta al forno che aveva preparato per noi tutti. E la pasta al forno di nonna Sonia è patrimonio dell’umanità oltre che bene di prima necessità.
Per la prima volta in quaranta giorni ho voluto fare uscire Elenina da casa, seicento metri tra andata e ritorno. Aria e sole che non ricordava. E un mondo fuori tanto diverso da quello che ha lasciato all’inizio di marzo. Ha detto che c’era il caldo e che l’ultima volta che era uscita ancora indossava il piumino. È cambiata la stagione senza che se ne accorgesse mentre era dentro, ed è cambiato il mondo. Tutti vanno in giro con la mascherina, la gente si muove in file ordinate e silenziose. Il silenzio lo ha notato particolarmente in una zona come la nostra che nel mondo prima era abitualmente affollata e trafficata.
Quasi nessuna macchina e i semafori, ha notato, praticamente inutili visto che in mezzo alla strada ora ti ci potresti addirittura mettere a ballare tanto è vuota, ha detto.
Siamo state fermate.
Non dalla Polizia ma da due signore che volevano sapere dove avevamo comprato le nostre mascherine coloratissime.
Uscire protetti, sì, ma con stile.

18 aprile 2020

Benedetta solitudine

Cronache dal mondo fuori.
Innanzitutto per farmi vanto della mascherina trendy. E poi per chiedere se per caso mi è sfuggito che si fossero allentate le restrizioni sulle uscite dettate esclusivamente da necessità strette come la spesa, la farmacia e i cani. No, perché oggi mentre facevo la solita fila al supermercato mi è sembrato di vedere un gran movimento di gente. Quello che una volta era la normalità ma che in tempo di Covid19 invece salta subito all’occhio come una stranezza. Ho visto persone passeggiare beatamente e sedersi sulle panchine a chiacchierare. Ho visto bambini, una fauna che non mi passava davanti da tempo immemore. Una mamma con bimba per mano, entrambe senza mascherina, mi ha chiesto come mai la libreria fosse chiusa. Le ho risposto che nel Lazio le librerie riapriranno dopo il 20 aprile, se n’è andata incavolata dicendo che abbiamo i governanti che ci meritiamo. Volevo chiederle se lei e la bimba avessero un qualche patentino di immunità e come l’avessero ottenuto vista la spavalderia con cui sfidava il mostro passando incurante tra la gente. Ma non l’ho fatto o mi sarei beccata le stesse lusinghiere parole rivolte a quelli che avevano deciso di tenere chiuse le librerie. Librerie che temo non abbia frequentato poi così tanto nel “mondo prima” o avrebbe sviluppato un senso critico più adeguato.
Dopo quaranta minuti di attesa sono riuscita a entrare al supermercato, accolta con simpatia dalla guardia che ormai mi conosce e dalle cassiere amiche. Per una volta l’ho fatto, ebbene sì, l’ho fatto. Mi sono presa tutto il tempo di assaporarmi una lunga e intensa passeggiata tra gli scaffali. Non ho corso acchiappando in ordine sparso una spesa probabile e necessaria. Certo, ho assolto le solite commissioni per le due spese settimanali (nostra e di mamma) ma avevo bisogno di tempo. Tempo da passare un po’ fuori casa. O meglio, tempo da passare un po’ da sola. Paradossale eh? Mi manca la solitudine. Non troppa, ma quanto basta per respirare, pensare o non pensare affatto.
Perché se è vero che in questa quarantena si è fortunati a vivere in una casa affollata di vita, in cui ogni giorno ci sono tante cose da fare, appuntamenti da non perdere, lezioni, attività, discussioni per decidere cosa guardare, cosa mangiare, quando passare da una stanza all’altra per non essere incautamente e invadentemente presenti nella classe di seconda media o nella lezione di epistemologia, è anche vero che a un certo punto gli spazi già stretti iniziano a diventare soffocanti. Soprattutto per chi come me è il membro della famiglia eletto a mantenere l’ordine e la stabilità del popolo. Ok, mi sono montata, diciamo che più che governatrice sono un saltimbanco che cerca di di destreggiarsi a far sì che non s’infranga quell’equilibrio tra tutti che sta diventando sempre più fragile in ogni giorno aggiunto a questa reclusione.
Ma la domanda è: quando saremo finalmente liberi di uscire, saremo veramente di nuovo liberi?

17 aprile 2020

Amicizia in scatola

Cronache dal mondo dentro.
Dicono che sarà lunga e che per un tempo imprecisato usciremo ancora mascherati, quindi la nuova frontiera dell’outfit è il copri mascherina. Io lo avevo già notato nei giorni scorsi quando, in fila per la spesa o a spasso con i cani, ogni venti tristi mascherine incrociate ne beccavo qualcuna stilosa da farmi invidia. E così mi sono attrezzata e oggi mi sono arrivati i copri mascherina super trendy che avevo ordinato. Ora avrò le unghie a pezzi, i capelli che Maga Magò sembra appena uscita dal salone di Aldo Coppola ma almeno qualcuno si girerà a guardare la mia mascherina indossata con la stessa nonchalance di una modella di Dior mentre farò la muffa in fila per entrare al supermercato sul marciapiede appoggiata al carrellino, che fino a un mese fa rappresentava per me lo status symbol della casalinga pensionata over 70.
Ma il regalo più bello di oggi lo ha ricevuto Elena. E non per il regalo in sé, ma per tutto quello che rappresenta. Glielo ha consegnato oggi il super papà della sua amica del cuore, anzi non solo del cuore ma anche del cervello, dello stomaco, della pelle, di tutto. E no, prima che vi scateniate, non abbiamo violato nessun dpcm, semplicemente il nostro amico ha ripreso a lavorare oggi e il nostro portone era sul suo tragitto. Mascherine e distanze rispettate, ma che bello rivedersi anche solo per due minuti. Dal vivo intendo, ché di videochiamate ora iniziamo un po’ ad averne le palle piene. Anche se ringraziamo di averle perché pur sacrificati ancora riusciamo a stare insieme fingendo di essere vicini e apprezzando qualcosa che forse davamo per scontato, la presenza affettiva.
Insomma, Emma è riuscita a fare arrivare ad Elena il regalo di compleanno fermo da febbraio dentro il suo armadio. E che regalo! Una scatola che scoppia letteralmente di amore, attenzione, amicizia, legame, vita. Una scatola piena di “mondo prima” in cui insieme voleva dire abbracciate, mano nella mano, una accanto all’altra. Un regalo aperto in videochat, ovviamente, perché nessuna voleva perdersi l’emozione e nessun lockdown può permettersi di rubare le emozioni.
Una cosa tira l’altra e alla fine in videochiamata oltre a Emma ed Elena siamo arrivate anche io e Chiara e Ale…e improvvisamente, anche lontane, insieme era insieme. A ridere, a sentire quanto ci mancano gli abbracci e soprattutto a programmare la prima uscita dopo tutto questo. Perché usciremo, con delle mascherine bellissime, ma ne usciremo.

10 aprile 2020

Uccelli di Rovo, Covid chapter

Cronache dal mondo dentro.
Oggi è venerdì di passione. In ogni senso.
È il venerdì della spesa pasquale. Ma oggi di più degli altri anni. Infatti, se fino all’anno scorso ironizzavamo sull’assalto ai supermercati nei due giorni precedenti la Pasqua e gli ingredienti da accattarsi prima che andassero esauriti erano l’acqua di fior d’arancio, il grano cotto e le uova, quest’anno abbiamo un problema in più: riuscire ad entrare.
Ieri sera, visti i livelli di difficoltà crescenti, mi sono programmata la sveglia per le sei. Caffè, doccia, giro con i cani e per le otto, con tutta calma, carrellino e spesa all’apertura.
Invece è andata che mi sono svegliata alle sei meno dieci nel pieno di un incubo in cui ero rimasta chiusa da sola all’interno di un supermercato e guardavo impotente da dentro la mia amata automobile (io la chiamo Regina) parcheggiata, che non vedo esattamente da un mese, mentre veniva risucchiata in una voragine di acqua e fango. Così, per dire la leggerezza con cui sto vivendo questa segregazione forzata. Quarantena? Chiamala come ti pare, quello è.
In ogni caso, ho rimuginato per un po’ sul sogno interrotto e quando la sveglia è suonata, l’ho spenta, ho fatto una carezza a Uma acciottolata nel posto di Doc e sono ripiombata in un dormiveglia in cui le sinapsi cerebrali continuavano a rimbalzare urlando come piccoli guerrieri inferociti “è ora, è ora, è ora”. Ma di ora s’era fatta una certa, come se dice a Roma, e quando ho aperto gli occhi erano le 9,37.
Ho sentito qualche rumore provenire dal salotto e con la voce di una morta vivente ho chiamato qualunque forma di vita che potesse portarmi un caffè doppio, eventualmente anche rovesciarmelo addosso pur di svegliarmi. Quando Elena si è affacciata alla mia camera sono riuscita a dire “Caffè. Fila. Supermercato. Guarda, ma non sporgerti.” La risposta è stata che la fila era talmente lunga che arrivava di fronte casa nostra e oltre, persino in mezzo alla strada. Ho controllato su Maps: 650 mt fino a casa mia, 800 alla coda.
No puedes.
E a quel punto ho dovuto capitolare e giocare la mia carta jolly. Doc, che come è entrato a casa di ritorno dalla notte di pronto soccorso, ha incontrato i miei occhi da cerbiatta: “Amore, non vedevo l’ora che rientrassi, sei il mio eroe! Prendi il tesserino dell’Ordine e il badge del Policlinico e vammi a comprare mezzo chilo di fragole, un pezzo di Emmental per lo sformato al formaggio e qualche salsiccia per Pasquetta.”
E niente, l’ho fatto, ho sfruttato il famoso privilegio del “beata te che hai il medico in casa” ma chi l’avrebbe mai detto che mi sarebbe servito per la spesa.
L’ho mandato e l’ho seguito per cento metri, guardandolo dal balcone per accertarmi che non venisse lapidato, visto che è pure venerdì di passione. E invece è andato e tornato, tutti sono stati gentili con lui (anche perché molti al super lo conoscono) e lui è stato bravo mi ha portato le fragole (un chilo in più di quelle che avevo chiesto, a dire il vero), il formaggio, le salsicce e tutte le cose che gli venivano in mente mentre percorreva i corridoi, compreso l’orangotango e il sarchiapone. Ma vabbè, per stavolta la valutazione costo-beneficio era a suo vantaggio.
Ora mi rilasso un po’, da due ore la tv dice “Tra poco conferenza Stampa di Conte”, nel frattempo passa un programma religioso con un certo don Davide, che Dio lo benedica, sembra uscito da “Uccelli di rovo-the Coronavirus chapter” e parla benissimo, non so che cosa dica ma lo fa divinamente. Fuori in balcone Elena fa i Tik Tok. Doc dorme, finalmente.
E io ora chiamo il garage dove tengo la mia macchina, giusto pe’ fa’ due auguri, sia chiaro.

8 aprile 2020

Anniversari di un mondo prima

Era un 8 aprile del mondo prima.
Il mondo quando ancora ogni festa voleva dire stare insieme, quando ancora ci si abbracciava e ci si baciava e in quegli abbracci e in quei baci c’era tutto l’affetto e la gioia della condivisione dei momenti felici.
Era l’8 aprile di un’altra epoca che oggi a guardare le foto di quel giorno sembra tanto lontana e strana. Perché accade così, che man mano che le cose cambiano e si adeguano ai tempi, seppur con grandi strappi, noi diventiamo assuefatti e ciò che prima era impensabile, oggi è la nostra normalità. E ciò che prima era normale appare sempre più sfuocato e strano.
Insomma, quell’8 aprile del mondo prima, c’erano tanti sorrisi senza mascherina, c’era tanta gente a festeggiare, gli amici, c’erano i baci sulla bocca, si stava intrecciati tra strette di mano e abbracci.
E anche se in questo mondo di oggi tutto sembra mutato, c’è un qualcosa che questo infame bastardo di un virus non è riuscito a distruggere. Sono i sentimenti. Ed è proprio in essi che ancora, oggi come ieri, continuiamo a sorriderci, amarci, stringerci e sentire.
Buon anniversario a noi, che passiamo da un’era all’altra senza mutazione.

7 aprile 2020

Reggiseno e mascherine

Cronache dal mondo fuori.
Sono in fila da 35 minuti per entrare al supermercato.
Mi stanno sanguinando le orecchie per quanto chiacchierano quelli dietro di me, snocciolando un mix tra luoghi comuni e fake news che Il Lercio dovrebbe assumerli come autori di punta.
Una signora è passata con una coppa di reggiseno sulla faccia, ancorata alle orecchie con le spalline dello stesso. Ha vinto la gara per la mascherina più innovativa tra quelle altruiste, almeno per il pubblico maschile, pizzo nero, oserei una quarta coppa C.
Ho incrociato Giuseppe che rientrava dalla notte passata in ps, mi ha chiesto se volessi che alla spesa ci pensasse lui, così da evitarmi l’altra mezz’ora di fila e sfruttare l’ingresso prioritario per i medici. No, grazie sei stanco va’ a casa. Coccodrilli, orango tango e unicorno ne abbiamo ancora, ci penso io stavolta.
Finalmente, dopo un’ora riesco ad entrare, dispongo la doppia lista, quella nostra e quella di mamma, nel carrello in vista stile Tom Tom, armeggio tre quarti d’ora per aprire una bustina per la verdura, ritorno otto volte negli stessi reparti perché ho scordato sistematicamente qualcosa. Il lievito di birra a 4,99 che citava la locandina fuori è introvabile, mi chiedo se lo spaccino all’angolo insieme alla farina. Lievito is the new droga insieme alla polvere bianca. La farina intendo, eh?
In ogni caso, ho trovato un fuori lista a cui non ho saputo resistere. Un bene di assoluta inutilità, ma che sono sicura entrerà presto nella lista di quei prodotti introvabili e desiderabili come fu per la crema Pan di Stelle e i Nutella Biscuit. Il Baileys panna e fragola. Una bomba di alcol, grassi e zuccheri che il Coronavirus sarà l’ultimo dei miei problemi.
Pago, carico il fedele carrellino e mi riavvio verso casa quasi due ore dopo esserne uscita.
E mentre cammino penso a quanto siano fastidiose le spalline del reggiseno. Sulle orecchie intendo.